Catena Fiorello presenta sul palco di Passaggi Festival il suo ultimo romanzo Picciridda.
[vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””] [no_dropcaps type=”normal” color=”red” font_size=”” line_height=”” width=”” font_weight=”” font_style=”” text_align=”” border_color=”” background_color=”” margin=””]l[/no_dropcaps]’incontro si apre con l’inevitabile riferimento ai suoi fratelli Beppe e Rosario ben noti ai più. L’autrice spiega poi che quando si ha un cognome conosciuto si ha anche una grande e alle volte pesante responsabilità.Ma nonostante ciò, ci rivela Catena, il suo non rappresenta un peso bensì un orgoglio in quanto portato con grande dignità.
Prima di addentrarsi nella descrizione del suo libro, l’autrice apre al pubblico una finestra sulla sua infanzia ricordando con molto affetto la nonna, Catena D’amore. Un nome alquanto bizzarro ma adatto alla sua personalità decisa e prorompente. Questa nonna rappresenta per la scrittrice un grande esempio di forza e coraggio in quanto nonostante i tempi difficili e le sgradevoli voci con grande determinazione e tenacia riuscì a crescere da sola ben quattro figli. [vc_separator type=”transparent” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””] [no_dropcaps type=”normal” color=”red” font_size=”” line_height=”” width=”” font_weight=”” font_style=”” text_align=”” border_color=”” background_color=”” margin=””]A[/no_dropcaps]mbientata negli anni della depressione italiana, i primi anni sessanta, la storia raccontata da Catena nel suo libro presenta come protagonista la giovane Lucia, la quale a soli 11 anni, età estremamente importante in quanto densa di cambiamenti e passaggi, vede i propri genitori assieme al suo fratellino emigrare in Germania in cerca di fortuna lasciandola così sola con la nonna Rita.
La situazione affrontata dalla piccola Lucia raffigura quella vissuta da tante altre bambine italiane che, divenute oggi adulte, leggendo questo libro spesso arrivano alla commozione e alle lacrime. Condividono con Lucia il profondo senso di abbandono e la rabbia iniziale nei confronti dei genitori che nonostante le promesse fatte, a Natale e a Pasqua saltano l’appuntamento non tornando in Italia a ritrovare i propri cari.
Si immedesimano, poi, anche nella successiva comprensione che quell’atto estremo e doloroso fu compiuto nella speranza che il partire per lavorare in altri Paesi avrebbe potuto poi garantire un futuro migliore e florido ai propri figli.
Infatti quella rabbia iniziale con il senno del poi si trasforma in lacrime di amara consapevolezza. Catena racconta poi di aver deciso di scrivere questo libro anche per rendere omaggio a tutti gli emigranti italiani partiti alla volta di altri Paesi con lo scopo di raggiungere l’unica meta della loro esistenza ovvero il futuro dei loro figli . “Sono dei veri proprio eroi del mondo contemporaneo”. “Sono loro che devono essere ringraziati se ora viviamo così bene”. “Hanno abdicato alla pretesa di avere qualcosa per sé per puro amore nei confronti dei figli”
“Ricordo che qualche tempo fa” – spiega Catena – “chiesi ad un ‘ex emigrante’ come avesse fatto a faticare quasi ammazzandosi di lavoro per tutto quel tempo senza stancarsi mai. E lui mi rispose che nessuno di loro si stancava di lavorare perché il loro obiettivo era più forte del dolore della sofferenza, della fatica. Il lavoro diventava così il senso della vita”.
Picciridda è a tutti gli effetti una bambina in carne ed ossa che con le sue forze risulta in grado di elevarsi da sola. Lucia ha regalato a Catena la gioia di conoscere tante persone, le quali riconosciutesi in lei, le hanno aperto i loro cuori.
Per questo l’autrice ringrazia picciridda confessando che le ha insegnato a vivere.
L’incontro si conclude poi con del sano divertimento accompagnato da tante risate suscitate dalla coinvolgente simpatia di Catena e – come lei stessa afferma – della Trinacria intera.
[vc_separator type=”normal” position=”left” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Testo di Martina Broccoli
Immagini di Silvio Stelluti Scala