Nella cornice sempre magica della Chiesa di San Francesco, si è svolto uno dei primi incontri di Passaggi Festival 2020. L’autrice Cinzia Sciuto ha presentato il suo libro Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo che era già stato pubblicato da Feltrinelli nel 2018, ma quest’anno è uscito nella collana Economica dello stesso editore. A conversare con lei, il direttore di Passaggi Festival Giovanni Belfiori e il giornalista Marco Bracconi che poco prima, nella medesima cornice, ha presentato il suo libro La mutazione (Bollati Boringhieri, 2020).
Un sottotitolo problematico
Quello di Cinzia Sciuto è un libro calato sui problemi del presente, che cita temi come immigrazione, femminismo e multiculturalismo. L’autrice ha confessato di aver posto un sottotitolo- Manifesto laico contro il multiculturalismo– che ha provocato diversi malintesi, ma che l’editore ha appoggiato per la capacità di aprire un dibattito su temi molto attuali. Il giornalista Bracconi ha confessato di averlo già letto in passato, ma di averlo riletto ora sentendosi spaventato dal fatto che in questo momento non si parla più tanto di certe tematiche, essendo tutti presi dalla grande emergenza sanitaria. Il libro di Cinzia Sciuto è un libro che si muove sul piano politico, da non confondere quindi con quello antropologico. Inoltre è un’opera che invita a non calarsi nella retorica della tradizione e del “si è sempre fatto così”.
Il multiculturalismo
Il libro di Cinzia Sciuto viene definito da Bracconi “un calcio negli stinchi” ad un modo di pensare tipico della sinistra, che sostiene il multiculturalismo e crede che ogni cultura debba avere un proprio posto contrattuale nella società. Cinzia Sciuto sfida il multiculturalismo, perché questo tende a considerare le varie culture come monoliti o oggetti netti e distinti. In realtà, le culture sono degli agglomerati che portano ognuna con sé una visione del mondo, delle spiegazioni, delle norme di relazione, delle tradizioni che a volte stridono con il progresso civile e politico. Sono quindi dei processi sociali in continua evoluzione e dare definizioni contribuisce a creare una solidificazione delle stesse. Oggi si tenta, attraverso l’essenzialismo, di manipolare una cultura e dire con certezza che cosa è e che cosa non è, favorendone la staticità.
Non esiste un’ identità culturale
Demolita quindi la definizione di cultura che porta in grembo il multiculturalismo, la tesi che emerge da parte dell’autrice è la non esistenza di un’identità culturale. Vero è che spesso tendiamo ad identificarci in una cultura e in nome di questa ci sentiamo minacciati da altre comunità e dalle loro diverse culture. A volte ci chiediamo fino a che punto la libertà individuale può essere messa da parte per rispettare “le norme” della comunità in cui viviamo o fino a che punto una religione possa dettare il mio comportamento. Tutto ciò è normale se si crede nell’esistenza di un’identità culturale, concetto che per Cinzia Sciuto non esiste. Infatti, nel suo personale esempio, dice di non voler dirsi parte di una cultura che è la stessa di alcuni esponenti politici con idee diametralmente opposte dalle sue, con condivide solo la nazionalità. O la stessa cultura italiana che nel 1981 tollerava ancora il delitto d’onore. Non esiste quindi una identità culturale, ma al più un’identità individuale. Il fulcro si sposta dai gruppi all’individuo.
La laicità come risposta al multiculturalismo
Il secondo capitolo del libro si intitola “Laicità come precondizione della democrazia”, quindi una condizione importante per permettere a chiunque di accedere allo spazio pubblico e partecipare alla vita politica alla pari con gli altri. Laicità non è il contrario di credere in una fede, ma è il contrario di fondamentalismo. La laicità è riferita a qualsiasi tematica, anche al di fuori della religione, è una risposta a qualsiasi situazione in cui un capo (vescovo, capo di partito) afferma che una persona abbia o meno un determinato diritto.
“Tornando alla laicità, essa non è affatto, dunque, nemica della fede. Anzi, in una società complessa, la laicità è la migliore amica della fede, o meglio: delle fedi. Sono (anche) i credenti […] ad avere molto da guadagnare da un contesto sociale nel quale la religione sia affare privato di ciascuno e lo Stato assicuri a tutti la libertà di praticare la propria fede ma anche di non praticarne nessuna, e più in generale garantisca a ciascuno […] i diritti fondamentali.”
[…] “Non si tratta dunque per lo Stato di assumere un atteggiamento di mera indifferenza nei confronti delle diverse confessioni religiose, né tanto meno di svolgere una funzione di “arbitro” fra di esse, ma di garantire tutte quelle precondizioni – e sono numerose – affinché ciascun cittadino possa determinare in autonomia la propria vita e il proprio orizzonte di valori.”
L’Islam: non un solo credo
Il libro è strutturato in cinque capitoli. Il terzo è dedicato all’Islam. Bisogna partire dal presupposto che di Islam non ce ne è uno solo, ma ne esistono tantissime varianti, quasi “una per ogni musulmano vivente”. È scorretto pensare che la donna musulmana sia necessariamente una donna che porta il velo. Quest’ultimo è un tema attuale molto discusso, spesso con molto approssimazione. È necessario un dibattito aperto, senza tabù.
Innanzitutto quando si parla della questione del velo, non si parla di un mero capo d’abbigliamento, ma del significato che porta con sé. Coprire una donna nella religione ha da sempre significato modestia e, come si legge nella Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, implica una considerazione della donna come dominio dell’uomo. “L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché è egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo”.
In secondo luogo, il velo non è di mera pertinenza dell’Islam, ma ci sono diverse religioni tra cui anche il cristianesimo. Quando se ne parla quindi, non ha senso categorizzarlo come un discorso islamofobico o razzista, ma è un discorso critico ad un elemento culturale che accomuna diverse credenze.
Velo e libertà di scelta
Quando si parla di velo spesso ci si sofferma sulla sua obbligatorietà o meno. Di fronte ad una donna che sceglie liberamente di metterlo è come se ci fosse la cessazione di ogni discussione. Eppure vanno sondate le condizioni di tale libertà. Se la donna è stata una bambina che ha subito pressione di vario genere da parte dei genitori musulmani o di altre minoranze in cui si è soliti mettere il velo, è vero che nessuno fisicamente la obbliga ma c’è tutto un contesto educazionale che ha esercitato una pressione su di lei. Cinzia Sciuto riporta infatti alcune frasi che si dicono alle bambine, come ad esempio “se non metti il velo i tuoi capelli bruceranno all’inferno”. Questo fa capire che, se cresciute in tale ambiente, sarà molto difficile poi scegliere con libertà di metterlo o non metterlo.
Comunque ci sono donne che hanno deciso di convertirsi in piena libertà, senza aver ricevuto un’educazione. Anche in questo caso c’è comunque un valore che quel velo ha e di cui si può parlare ed è necessario farlo, non per discriminare o per categorizzare, ma per cercare di capire. Perché una persona che porta con sé un simbolo di modestia della donna, può non essere nelle corde di alcune delle innumerevoli identità individuali.