Nella terza giornata di Passaggi, per la rassegna Grandi Autori di Passaggi Festival, Nando Dalla Chiesa ha presentato in Piazza XX Settembre il suo ultimo libro La partita del secolo. Italia-Germania: 4 a 3 storia di una generazione che andò all’attacco e vinse (Solferino, 2020). A dialogare con lui Marco Civoli, giornalista e conduttore televisivo, voce con Sandro Mazzola dei campionati mondiali 2006 e il centrocampista Giancarlo “Picchio” De Sisti.
Una storica semifinale
Nessuno si sarebbe mai immaginato che una delle partite più emozionanti del secolo scorso potesse essere una semifinale. In particolare la semifinale del mondiale messicano, quando il 17 giugno 1970 la squadra italiana sconfisse l’invincibile Germania, che incarnava l’idea della perfezione. Un 4-3 che resterà una delle pagine più interessanti nella storia del calcio.
Come si legge nell’incipit del libro di Nando Dalla Chiesa:
“Ogni popolo stabilisce silenziosamente e senza intenzione quali giorni resteranno nella sua memoria. Quali saranno simbolo di dolore o evocheranno la paura, quali restituiranno senso alla speranza o regaleranno sempre e comunque un sorriso. Un popolo non lo decide mai sul momento. Tutto viene scavato e rielaborato nel tempo”.
Una pagina memorabile della storia del calcio
Il 17 giugno 2020 si sono celebrati i cinquanta anni da una partita strepitosa, che si sposò a pieno con la condizione storica del momento. La nazionale italiana, forte ma non favorita, contro la potente Germania, emblema dell’efficienza e di netto favorita dalla genetica. La partita si svolse nello Stadio Atzeca di Città del Messico e in Italia venne vissuta il 18 giugno a causa del fuso orario. Il gioco non fu strepitoso e fu pieno di errori, in cui si gettò all’aria ogni schema, eppure fu una pagina epica del nostro calcio. Picchio De Sisti è estremamente orgoglioso di questa partita e come dice a qualsiasi giocatore, “ma tu hai mai fatto Italia-Germania?”.
La prima volta, una grande emozione
Dopo aver ceduta la sua poltrona rossa a Picchio De Sisti, Nando Dalla Chiesa ricorda le emozioni provate quella notte. Il periodo storico era caratterizzato da un forte complesso d’inferiorità dell’Italia nei confronti della Germania sia come paese che come squadra.
Un paese che riusciva ad offrire lavoro. Un paese che pur dilaniato dalla guerra era diventato in poco tempo la guida economica della Comunità Europea.
Una lingua, quella tedesca, che sembrava dovesse essere imparata per forza dai filosofi, dai sociologi.
Una squadra superiore a livello fisico, grazie ad un’alimentazione che allora si diceva essere migliore di quella italiana.
Un Paese insuperabile. E che sembrò esserlo fino alla fine, quando il difensore tedesco Schnellinger segnò all’ultimo minuto di partita il gol di pareggio dell’ 1 a 1. Da questo momento ebbero inizio trenta minuti di emozioni e ben cinque gol realizzati dalle due squadre.
Marco Civoli di quella partita ricorda la voce di Nando Martellini, una guida che trasmetteva emozioni incredibili e che commentò ogni minuto. L’immagine che più si ricorda è quella di Franz Beckenbauer con il braccio attorno al collo, perché continuò a giocare nonostante una lussazione alla spalla. L’emozione più forte fu quella del 4 a 3.
Mondiali in altura
I mondiali Messico 1970 si svolsero in altura. La nazionale italiana si era infatti allenata in montagna durante il periodo natalizio. Il problema fu che in Messico regnava il caldo e l’umidità con ripercussioni sulla respirazione e la resistenza. Però i calciatori italiani, pur vedendo la Germania come una squadra che correva tantissimo, pensavano che i duemila metri avrebbero affaticato anche loro. Invece i tedeschi correvano tantissimo ed ogni reparto della squadra italiana dovette faticare per contrastarli: a centrocampo si corse di più, i servizi agli attaccanti furono più corti e il portiere dovette fare qualche parata di troppo.
Le dinamiche della partita
Durante la partita Roberto Boninsegna, con un’azione prepotente, segnò il il gol dell’ 1 a 0 italiano. Così la squadra italiana passò il secondo tempo a pensare di aver raggiunto il massimo. Il vantaggio diede loro una grande fiducia, sentivano di poter sconfiggere i tedeschi. Invece fu una partita molto sofferta. La Germania mise in campo tutte le risorse.
Il momento saliente fu il vantaggio del 4 a 3 con un’azione che coinvolse anche De Sisti. Boninsegna, che era dannato quella sera, sulla sinistra si porta indietro Schulz e di solito avrebbe cercato la porta, come poi ha confessato, ma in quel momento capisce che è troppo defilato sulla sinistra e allora tira il pallone e ci sarà poi Rivera a centrarlo in porta. Il gol decretò definitivamente la vittoria dell’Italia.
La carriera di Picchio De Sisti
Dal 1967 al 1972 Giancarlo De Sisti colleziona 29 presenza in nazionale italiana di calcio. Vince il titolo di campione europeo nel 1968 e diventa vicecampione del mondo ai mondiali messicani 1970. Uno delle carriere più belle. Fu giocatore della Roma, vinse uno scudetto con la Fiorentina. Ma confessa che, a distanza di 50 anni, quel mondiale è stata la cosa più bella oltre agli affetti familiari e che lo rende orgoglioso del suo lavoro.
L’allenatore della nazionale italiana del 1970, Ferruccio Valcareggi, era un uomo che gratificava gli equilibri e le distanze tra i vari reparti. Lui ebbe sempre una buona considerazione su Picchio De Sisti, perché il ruolo di centrocampista non poteva essere sostituito da un attaccante. Ci voleva il collante e poteva farlo solo un geometra di qualità che non poteva essere sostituito ad esempio un Rivera, seppur bravissimo a far gol. Picchio De Sisti era un ottimo collante. La sua personalità tranquilla lo rendeva capace, a differenza di molti centrocampisti di oggi, di mettersi a completa disposizione della squadra.
La nascita di un libro
Il libro nasce perché Nando Dalla Chiesa si è sempre occupato di calcio. La propria squadra di calcio, l’Inter, era un elemento di identità. Durante le interrogazioni di latino, un suo compagno per scherzo recitava la formazione dell’Inter alle sue spalle. Quando l’editore gli chiese di scrivere un libro di calcio, lo fece su Gigi Meloni. Ha poi deciso di scrivere un libro dedicato a questa semifinale perché rappresenta per lui l’anello di congiunzione tra il ragazzino che tifa calcio e lo studente del sessantotto che di notte scende in piazza a festeggiare qualcosa che non sa come festeggiare, in cui sa solo di avere vinto sulla Germania e non porta nulla d politico con sé. Una partita che nel suo caso ha segnato il passaggio tra adolescenza e gioventù, tra prima e dopo, tra un’Italia costretta a piegarsi sempre e un’Italia che invece può vincere sulla Germania.
Un libro per tutti, “per chi ha vissuto quella partita, per chi l’ha vista seduto sulle ginocchia del proprio padre o, per chi non c’era e vuol sapere”.
La partecipazione delle donne
Nando Dalla Chiesa di quella giornata di giungo del 1970 ricorda la partecipazione delle donne. Di solito quando andava allo stadio non c’era mai pubblico femminile. Iconica di quegli anni era la canzone di Rita Pavone: “Perché, perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone. Perché, perché una volta non ci porti anche me”. Ma quella notte Piazza Duomo a Milano era piena di donne, che avevano iniziato a guardare la partita ai supplementari, richiamate dalle urla. Anche la sezione femminile del collegio universitario festeggiava alle due di notte la vittoria della semifinale e questo era davvero insolito. .
Il tricolore
A fare da padrone di quella notte di festeggiamenti fu anche il tricolore. Di solito la bandiera italiana veniva utilizzata dai manifestanti, ma quella notte fece da padrone dei festeggiamenti. C’è chi si mise a venderli o chi lo rimediò con lo spray su delle macchine. Ma quel festeggiamento non aveva alcuna connotazione politica, pur in un periodo così politicizzato. E forse questa separazione dalla politica non accadde più. Nel 1982 infatti vi era già un tono più politico. Si capì tardi che quella del 1970 non era solo una partita di calcio, ma un’ improvvisa riscoperta dell’identità italiana. Ovviamente la notte conciliò i festeggiamenti, allentando i freni inibitori. Il Messico divenne il simbolo di un diverso Sessantotto italiano, perché mostrò l’idea che attaccando si potesse vincere e nutrì i cuori di un’immensa e inconsapevole speranza.