Nell’ultima giornata dell’ottava edizione di Passaggi Festival, lo scrittore, archeologo e storico Valerio Massimo Manfredi ha concluso la rassegna Grandi Autori presentando la sua ultima opera Antica Madre (Edizioni Mondadori). Manfredi ha rapito il pubblico di Piazza XX Settembre raccontando la spedizione romana nel Nilo, su cui ha costruito la storia di una ragazza dalla pelle colore dell’ebano, che fa innamorare il centurione Furio Voreno. Il suo racconto è quello di un “modesto studioso che si diverte a ragionare”.
Il Naturales Quaestiones: l’idea per il libro di Manfredi
Manfredi inizia il suo dialogo dicendo che dobbiamo voler bene al nostro paese, perché nessuno ha un paese come il nostro con i suoi ventotto secoli di storia.
Il suo ultimo libro, Antica Madre nasce per caso: un giorno stava cercando Naturales Quaestiones, un’opera di Seneca, il filosofo che ha saputo domare un individuo come Nerone. Lo ha iniziato a sfogliare e si è imbattuto per caso in un dettaglio che non aveva mai considerato. Si tratta di una frase:
“Lì vedemmo due rocce dalle quali scrosciava con impeto una grossa vela. Sia essa la sorgente, sia un affluente del Nilo.
(Dalla testimonianza di un centurione romano a Seneca).”
Questa frase si riferisce ad un’impresa titanica. Sembra che Nerone stesse sviluppando un interesse particolare verso la zona dell’attuale Nord Sudan, forse per l’oro. Tutto l’oro delle tombe dei Faraoni veniva da una zona detta Berenice Pancrisia, che significa “tutta d’oro”. Il suo interesse era però rivolto ad una spedizione e non ad una guerra, perché per quanto fosse bizzarro Nerone era un tipo pacifista, perlomeno fino a che ebbe vicino Seneca e i suoi consiglieri. Ma accanto a sé aveva anche dei generali indistruttibili, che allestirono flotta ed esercito e si avventurarono in zone con animali selvatici e tribù mai viste prima.
La piena del Nilo
Il Naturales Quaestiones di Seneca è un libro che indaga sui fenomeni naturali e si pone interessanti domande a riguardo. Per esempio perché l’acqua dei fiumi scorre sempre, perché in certe zone si formano i laghi, quale sconosciuta forza che non conosciamo squassi i terremoti. D’altronde non si conosceva ancora la teoria delle placche. La sua attenzione era rivolta anche al Nilo e allo strano fenomeno delle piene. Il fiume infatti prima inondava tutto e poi si ritirava. Questo fenomeno aveva una ripercussione diretta sulla vita dei Romani, perché dall’Egitto proveniva il grano, con cui si faceva il pane e con il quale si sfamava il milione di romani. Capire l’esondazione del Nilo era quindi fondamentale.
La curiosità si spostò verso le sorgenti, perché forse lì vi era la causa. Venne ipotizzata la presenza di neve nel Kilimangiaro o nelle Montagne della Luna, che sciogliendosi aumentava il livello d’acqua del fiume. Inoltre alla sorgente del Nilo vi era un lago pieno d’acqua, che esercitava una pressione fortissima.
Disassemblare le navi
Visto che secondo Seneca il filosofo doveva mettere la sua mente a servizio delle persone, pensò di premere su una spedizione alla sorgente del Nilo. Questa spedizione vedeva la partecipazione di due centurioni, alcune centinaia di legionari e dei pretoriani, che non lasciavano mai la capitale, essendo la guardia dell’Imperatore. Probabilmente la funzione che svolgevano in questa spedizione era simili agli odierni servizi segreti. La spedizione per indagare la situazione del Nilo costituiva una sfida di oltre 6000 km. Inoltre vi era l’aggravante che risalirlo da Nord a Sud significava percorrerlo in direzione contraria al normale corso. Il Nilo però ha cinque cateratte, quindi ci voleva una strategia. La stessa strategia che i Fenici avevano utilizzato per portare le navi ad Alessandro di Macedonia nella zona del Tigri ed Eufrate. Il segreto era costruire i pezzi delle navi, smontarle, caricarle su carri che bypassavano la cateratta e poi rimontarle una volta superata la cateratta e riprendere la navigazione. Cartagine, nella sua biblioteca, custodiva preziosi segreti di navigazione. Si pensa che questi segreti siano giunti anche ai Romani.
Il ritorno a casa
Sembra che, dai racconti, abbiano veramente percorso il Nilo. Eppure fino all’800 la sorgente del Nilo era un luogo segreto, esploratori come Livingstone hanno fatto di tutto per scovarla.
Questi legionari e i loro centurioni erano indistruttibili. Alcuni di questi dopo la spedizione del Nilo sono riusciti a tornare a casa e uno di loro ha scritto un diario e Seneca lo cita in quelle poche righe che ci ha trasmesso. Al ritorno a Roma non ebbero alcuna celebrazione. Tra l’altro la situazione in patria era degenerata con la Congiura dei Pisoni. Il racconto di Manfredi è ispirato a questa vicenda, ma immaginario.
Perché uno scrittore senza immaginazione è come un atleta senza muscoli. Bisogna però che il racconto abbia un aspetto verosimile.
L’incipit di Antica Madre
Nell’incipit si parla di soldati romani che vanno a caccia di animali selvatici nel Nord Africa e li riportano a Roma per usarli nelle venationes nell’Arena. Probabilmente si sono estinti molti animali selvatici in questo modo.
C’era un popolo che viveva in tutto il continente, chiamati etiopi perché significa “dalla faccia bruciata”.
L’animale più selvatico è una ragazza etiope, che non significa proveniente dall’attuale Etiopia, ma di pelle bruna. I Romani pensavano di averla catturata per farla combattere nell’Arena. Invece lei stessa si era fatta portare a Roma, perché cercava un uomo, un eroe: l’Ercole nero, che aveva al collo una medaglia come la sua.
Questo incipit è una vicenda di sua invenzione, ma anche Omero e Dante parlano di vicende inventate. Probabilmente nel continente africano c’era una tribù potentissima, con radici lontane.Tutte le regine e i re discendevano dall’Antica Madre. Sappiamo che l’umanità è nata lì, da donne.
Gli eroi vengono a sapere che c’è un tempio e in un sarcofago c’è un’antica e piccola mummia, perché è l’Antica Madre. Mentre si aggirano restano sbalorditi da un’armatura di un guerriero omerico, da cui discendono tutti i re.
L’importanza delle emozioni
A volte i racconti storici sembrano perdite di tempo. I grandi maestri ci hanno insegnato come si scrive la storia. Ma i libri di Manfredi hanno un altro scopo: non trasmettere le nozioni, ma le emozioni.
“La vita non è vita senza emozioni. Una calma piatta senza un brivido di vento, senza una piccola onda. Una vita senza emozioni non vale la pena di essere vissuta.”
Nell’Odissea, nei suoi versi, scaviamo pezzi di verità storica. Alcuni pezzi non ci fanno dire che è storia, tuttavia non possiamo farne a meno. I quattro Vangeli ne sono un esempio perché trasmettono, con la Passione di Cristo, un’emozione fortissima anche se non possiamo verficarla.
Il mondo della scrittura è complesso, ma ci deve essere la capacità di comunicare emozioni perché ricordiamo meglio ciò che ci emoziona. Le emozioni sono tante e la vita non ha senso se privata di queste.
La felicità è necessaria
Dopo i saluti conclusivi e i ringraziamenti del direttore di Passaggi Festival Giovanni Belfiori, Valerio Massimo Manfredi ha aggiunto una sua riflessione.
Le sue origini da figlio di un piccolo agricoltore, gli hanno dato esempi enormi. Quando suo padre e sua madre sono stati colpiti dalla malattia e dalla vecchiaia li vedeva ringhiare contro il destino crudele e non piegarsi mai. Così le prime volte che impugnava le maniglie delle porte di una scuola, per insegnare, si sentiva addosso l’enorme responsabilità ci coltivare la loro mente, che sarebbe stata quella di uomini un giorno.
A loro diceva sempre che la felicità è necessaria, che bisogna essere felici perché si vive una volta sola. Così saranno felici anche gli altri, i nostri figli e i nostri genitori diranno “non li ho messi al mondo per niente”.
La felicità non è dalla pelle in fuori, è dalla pelle indentro. La felicità parte dalla scatola cranica, che elabora pensieri di Kant, di Socrate, di Seneca e di tutti i grandi maestri. Ha sempre pensato a Dante e al suo colosso.
La mente è tutto quello che abbiamo.