Katia Migliori ha insegnato all’Università di Urbino, ed è stata punto di riferimento intellettuale per centinaia di studenti; ha dato vita nel 1982, insieme a Gianni D’Elia, alla rivista “Lengua”, ha fondato il Centro studi “Mario Luzi” di Montemaggiore al Metauro, ha collaborato più volte con Passaggi Festival. Ha pubblicato e curato saggi, l’ultima sua opera è uscita alla fine del 2022 la casa editrice Aras: un volume con contributi inediti su Pasolini. Fin qui la stringata nota biografica che è d’obbligo in queste circostanze, ma chi ha avuto la buona sorte di conoscerla e frequentarla sa quanto Katia fosse una letterata di grande raffinatezza, originale, sempre fuori binario, elegante nelle parole e nei gesti. La scherma e le parole, insomma.
La notizia della sua morte ci ha raggiunti come possono farlo le notizie inattese e, poiché mai ci si abitua al dolore, abbiamo cercato un poco di consolazione nei nostri ricordi e nelle parole per ricostruirli.
Marco Ferri, Giovanni Belfiori
In ricordo di Katia Migliori
di Giovanni Belfiori
Katia Migliori era una schermidora, e la sua vita è stata piena di incroci. L’ho incontrata incrociandola, all’università, nelle case di amici, nelle notti di un bar, in una mostra o nei pressi di una libreria, nei testi che scriveva, ovunque, su un biglietto di fortuna, sulle pagine bianche di un taccuino, a volte persino in quelle scatole di fiammiferi che collezionava.
Amava e studiava e scriveva di Maurice Blanchot, Edmond Jabes, Mario Luzi e Pasolini, tanto da chiamare il suo amato figlio proprio Pier Paolo. Infaticabile nel suo lavoro di ricerca, aveva tanti progetti che le sarebbe piaciuto realizzare, a cominciare dalle traduzioni di Blanchot che aveva curato con passione e rigore estrema.
Lei è stata davvero, per tutta la vita, nel libro, a volte sulla soglia, a volte nelle pagine, quando la ferita era più forte. Nel libro ha vissuto, sperimentato, amato, conosciuto.
È tanto il debito che ho con lei. Quando ci incontrammo – io studente e lei mia docente, all’Università di Urbino – mi condusse in terre che ancora oggi, dopo più di trentacinque anni, ho voglia di visitare. Leggere con lei i “Frammenti” di Barthes (mi definì “Átopos” e mi ci ritrovai) e farmi conoscere e conversare con Jabes, sarebbe già sufficiente per esserle grato per sempre, ma lei ha fatto molto di più.
Era una donna generosa e negli ultimi dieci anni più volte ha portato qualità a Passaggi Festival, si è spesa, messa a disposizione, ha organizzato, offerto idee, intervistato autori, a volte sacrificandosi, mettendosi in secondo piano. Una generosità enorme che, purtroppo, io non ho sempre ricambiato e che oggi, nella più banale delle afflizioni, mi ritrovo
Mi piacerà ancora ricordarla così, a colloquio con Jabes nella palestra del liceo scientifico di Fano, in piedi davanti alla cattedra di via Veterani a Urbino nella sua lezione di letteratura amorosa, nella chiesa fanese di San Francesco a parlare di Leopardi. Così, come la vedono ancora adesso i miei occhi.
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In ricordo di Katia Migliori
di Marco Ferri
Invece per me, l’ultima volta è stata quando abbiamo ricordato Francesco Scarabicchi: era il 21 giugno 2021, nel Cortile del Nespolo, a Fano. Sembrava chiudersi un periodo. Quello cominciato da quella foto dove lei era l’unica donna, tra Franco Scataglini, Gianni D’Elia, Massimo Raffaeli e Scarabicchi.
Era il 1980. Poi c’è stata “Lengua”, le altre riviste marchigiane, “Cartolaria” e ognuno ha preso la sua strada, libro dopo libro. Non c’era però soltanto il libro, al centro della sua riflessione, perché lei usava una specie di microscopio, così al centro stava la parola, indagata sotto ogni suo aspetto, vezzeggiata, curata, esplorata in profondità.
Come avrebbe potuto fare diversamente? Allieva di quello straordinario semiologo senza bibliografia, un genio dell’oralità, che era Pino Paioni, fondatore del Centro di semiotica e linguistica dell’Università di Urbino, un maestro dal quale, con l’aiuto di Katia, siamo riusciti a carpire, dopo mesi e mesi di insistenze, per “Cartolaria 1989”, un testo scritto: la traduzione (incredibilmente complessa) di alcune poesie di Georges Perec. Ma il testo scritto di Pino Paioni credo sia una rarità maggiore.
E poi il nostro comune amico, altro maestro di umiltà e travolgente inventiva: Tullio Ghiandoni. Nel suo studio ci alternavamo, attratti, credo, dallo stesso istinto: quello verso la poesia delle immagini. Che fosse la parola o l’immagine, infatti, era la stessa attrazione. E tra gli amici comuni c’erano i pittori: Valter Gambelli, Giordano Perelli, Giorgio Antinori e gli urbinati.
L’ultimo lavoro insieme è stato il convegno/presentazione del libro di Carlo Bo Diario aperto e chiuso (2012), con una mostra omaggio che lei aveva intitolato Nell’intima piega. Aveva un’attenzione maniacale per i titoli, perché vi confluivano e si conglomeravano tanti significati e sfumature, quasi odori. Poi ci incontravamo di rado, pur abitando nella stessa via, ognuno geloso della propria intimità, ma sempre con un saluto che ripercorreva i tempi andati. Nel 1991 mi ha scritto una nota per una plaquette, “Piccoli quadri”, che cominciava così:
“Esiste un attimo del giorno in cui le bleu du ciel ci coglie in smarrimento e lo sguardo per un piccolissimo frammento di tempo si solleva verso l’alto, leggero, inebriato. E’ come se il corpo, direttamente coinvolto, divenisse aeriforme, vaporizzasse, in particelle minime. Così la vita, all’improvviso, la sentiamo perdere”…
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C’è, però, un modo migliore per ricordare Katia Migliori: farlo non con le nostre, bensì con le parole di Katia. Prima di tutto una breve e bella intervista che realizzò Carolina Iacucci: la trovate qui.
Nel 2020 Katia Migliori concesse a Passaggi di pubblicare un suo testo poetico inedito che si conclude con versi che oggi potrebbero farle da epigrafe e che pubblichiamo integralmente. Si intitola “Attenzione“. Giovanni le chiese perché avesse voluto scrivere un testo su questa parola, e Katia gli rispose: “Perché è una parola che richiede obbedienza. Accademica, scolastica, politica ecc. Così, a furia di obbedire, dimentichiamo quanto possa essere (Simon Weil) generosa e dunque non utile ad un fine determinato. Perché in fondo è un atto di carità per noi, per l’altro...”.
Giovanni, allora, insistette e le chiese perché proprio quella parola e Katia disse: “È stata un poco la condanna della mia storia vita… Attenta… Attenta!“.
Attenzione
di Katia Migliori
…… Il bordo e il limite
…… Per una voce plurale
L’Attenzione
è la forma più rara
e più pura
della generosità
(Simone Weil)
E sempre fingendo che ritorni
Lei,
voce a lungo troppo confinata,
protetta dall’ingenuo suono,
primitiva nel bene,
piaga vorace dell’ordine
nel male…
Inquieta nel suo silenzio
al bordo,
muta nello sguardo,
preghiera al suo presso.
La parola spira se manca
nel suo gesto
il verso dell’andare
e del tornare… indietro,
leggermente,
quel passo a ritroso,
di un ritrarsi raro e puro.
Stilla che si logora nel muto
ascolto – e, resiste
all’avido dicitore di parole.
Voce del limite,
soglia attesa:
rispondere di…
Silenzio e offerta al tempo
franco dell’attesa –
– allora il riguardo disvela il volto
in ombra della vita e
nel soggiorno, in essa, per umiltà
si fa custode…
Fuggitiva Attenzione
non riposarti… mai,
neppure
una sola volta…
Che tutto ciò che avverti,
………là
sia qui per noi
respiro
………ancora!
Per Katia Migliori
29 settembre 1949 – 5 aprile 2023