Nella giornata di venerdì 23 giugno a Passaggi Festival 2023, Stefano Zuffi, storico dell’arte specializzato in Museologia e Museografia e divulgatore culturale, nonché curatore della Pinacoteca Civica di Ancona e membro del comitato scientifico della Pinacoteca di Brera, ha presentato il suo nuovo libro Il racconto dell’arte italiana, da Bernini a Canova (Hoepli, 2023). L’autore, in occasione della rassegna Arte, una storia per tutti, ha conversato con Bonita Cleri, docente di Storia dell’Arte all’Università di Urbino.
Inizia un viaggio artistico
Il libro prende in esame 250 anni di arte italiana dal Seicento alla prima metà dell’Ottocento e questo lungo tempo viene raccontato seguendo le vicende di grandi autori. Un viaggio che tocca Bernini, Canaletto, in larga parte Canova (vero pupillo dell’autore) e arriva fino ad Hayez. L’originalità del libro consiste non solo nel narrare di artisti, ma è anche un itinerario geografico delle città italiane di quel periodo. Si parla infatti non solo di Roma, Firenze, Venezia, Napoli, Milano, ma anche di città come Genova, tradizionalmente considerata non di primissima importanza per la storia dell’arte. Il racconto dell’arte italiana si apre con lo scenario del 1610, anno della morte del Caravaggio e con Roma come luogo di compresenza di stili e tendenze artistiche diverse: i naturalisti seguaci di Merisi, gli accademici colti emiliani come Carracci, l’esuberanza di Rubens… Queste tendenze hanno cambiato il corso della Storia dell’arte europea.
La questione dell’unità nazionale
Uno dei vanti di questo libro è sicuramente il progetto grafico, che include immagini di altissima risoluzione di opere d’arte e anche una ragguardevole quantità di carte geografiche. Infatti uno dei primi punti toccati dall’autore durante la sua conferenza è la questione dell’unità nazionale dell’Italia e di come gli artisti la vedevano. L’Italia nel 1600 era sotto il predominio spagnolo nel meridione e in qualunque altra parte era un caleidoscopio di stati e governi diversi tra loro. Di fatto, l’unità nazionale come la concepiamo oggi, con tanto di confini delineati, era molto lontana. Questo fatto però, spiega Zuffi, sembrava totalmente inesistente agli occhi degli artisti che venivano dall’estero: essi vedevano l’Italia come un’unità culturale, come una madre di geni grandi e piccoli a partire da Michelangelo, Raffaello fino ad arrivare ai meno conosciuti. L’autore chiarisce infatti che l’autorità di Roma all’epoca era puramente culturale, ma per niente politica.
La sorpresa artistica di Genova
Si diceva all’inizio che Zuffi ha il merito di esaltare l’importanza di una città come Genova: nel Quattrocento infatti la città non partorisce quasi nulla di artisticamente rilevante, mentre trova una dimensione importantissima nei tempi successivi. Di fatto, questa città nel Seicento ha saputo attrarre su di sé l’attenzione degli altri Stati in quanto è riuscita a contattare e far arrivare i migliori talenti dell’epoca, anche e soprattutto dalle Fiandre che in quel periodo erano assolute protagoniste nel mondo dell’arte. E proprio da questo fatto nascerà gradualmente la Scuola genovese, destinata ad avere un successo duraturo e considerevole fino al Settecento, quando la città commercialmente e politicamente subisce un forte declino perfettamente raffigurato dal pittore Magnasco nel suo quadro Trattenimento in un giardino di Albaro, dove Genova è raffigurata volontariamente senza il mare. Questa mancanza del mare è la migliore metafora della crisi della città, in quanto da sempre Genova ha basato la sua potenza economico-politica sull’acqua.
Canova, genio immortale
Uno degli artisti più cari a Zuffi è, per sua diretta ammissione, Antonio Canova. La sua grandezza non è solo artistica, ma Canova è anzitutto un uomo fortemente tormentato perché consapevole che il periodo storico che sta vivendo è dominato dalla figura di Napoleone Bonaparte e dalla simultanea decadenza del suo Veneto. Infatti spesse volte Canova è impegnato nel riacquistare e nel far ritornare opere prese dai Francesi. L’autore rende giustizia a un uomo che è stato stroncato in maniera esagerata dal più grande critico d’arte del Novecento, ovvero Roberto Longhi, che lo ha definito “freddo”. In realtà, il critico Longhi probabilmente non è mai stato, afferma Zuffi, nel piccolo paese natale di Canova, Possagno. Lì vi è la sua casa di nascita e la sua gipsoteca, ovvero l’officina di calchi in gesso delle sue opere più o meno famose. Basterebbe andarci e subito si capirebbe che Canova fu tutto meno che un artista “freddo”.
L’arte è anche nei piccoli luoghi
A questo proposito, Zuffi ci ricorda che l’arte non è solamente dentro i grandi musei del mondo, quali Uffizi, Prado, Musei Vaticani e Louvre, ma si trova anche nei piccoli borghi e in città affatto celebri; l’Italia è, infatti, piena di piccoli luoghi sconosciuti che racchiudono capolavori di bellezza assolutamente impensabili. Un esempio classico è proprio il piccolissimo e sopracitato paese di Possagno che custodisce la vera anima di Canova, ovvero i calchi in gesso delle sue opere in marmo che i più grandi e famosi musei del mondo possiedono.
Prima di congedarsi, Zuffi ci ha ricordato due importanti verità: la prima, “l’arte è un rapporto”, ovvero ogni opera e ogni autore sono collegati ad altri, precedenti e successivi; la seconda, “non fermatevi all’ovvio”, invitandoci ad una continua ricerca e approfondimento.