In Piazza XX Settembre, nella settima serata della IX edizione di Passaggi Festival, per la Rassegna “Libri In Piazza”, è toccato a Beppe Severgnini, editorialista, vicedirettore del Corriere della Sera, conduttore di numerosi programmi e autore di diversi libri, presentare il suo ultimo libro “Il secolo lungo di Montanelli” edito da Solferino, condiviso con altri scrittori. L’autore ha conversato con Alessandra Longo, giornalista.
Indro Montanelli, figura fondamentale per il giornalismo italiano
Lo scopo principale di quest’opera collettiva è riassumere il personaggio e la storia del giornalismo, inquadrando meglio i risvolti umani meno conosciuti di Indro Montanelli, morto 20 anni fa a Milano. Indro Montanelli era un uomo che aveva opinioni politiche discordanti con la maggioranza e si trovava quasi sempre dalla parte dell’opposizione. Beppe Severgnini si occupa di raccontare la sua scrittura negli ultimi 20 anni di vita, prima a Il Giornale e in seguito al Corriere della Sera. Indro Montanelli possedeva grande maestria e un talento eccezionale nel descrivere le persone e nel raccontare le situazioni. L’autore si è sempre sentito debitore verso Montanelli, il quale è stato determinante per la sua carriera.
Non l’erede, ma semplicemente un allievo
Il primo incontro tra Indro e l’autore del libro si è svolto a Milano dopo una terribile pioggia e si è concluso con Indro che lo porta nella sua redazione. Inizialmente non è convinto dall’idea di scrivere notizie locali, e quindi preferisce tornare al suo mestiere, ossia il notaio. Tuttavia poco tempo dopo Montanelli gli propone di andare a Londra come corrispondente, lavoro svolto per 27 anni. Beppe Severgnini non si è mai dichiarato erede di Indro Montanelli, dato che erede per lui è una parola sbagliata e pericolosa dopo aver preso nota che troppa gente spesso si accapiglia per l’eredità. D’altra parte si considera semplicemente un suo allievo e un suo ammiratore.
Un errore non può cancellare la memoria di un uomo
La statua di Montanelli è stata imbrattata da alcune persone per un suo piccolo errore, ovvero il fatto di sposare una bambina quando era un militante del fascismo, ma era una prassi il fatto che i giovani ufficiali dovevano avere per spose le ragazze giovani. Ma a prescindere dal fatto in sé, è un atto vandalico e insensato distruggere un monumento dedicato a un uomo che ha fatto parte della storia, perché un errore non può distruggere la memoria di un persona e segnare la sua storia, come spesso avviene in America. A dire la verità Indro Montanelli non amava neanche le statue perché i piccioni facevano proprio lì i loro bisogni.
Il Giornale, strumento di protezione dal Comunismo
Indro è stato militante del fascismo sino al 1937, quando poi decide di abbandonare tutto a causa di una retorica sbagliata. Così in seguito decide di fondare Il Giornale per respingere il pericolo del Comunismo. In un primo tempo era stato attratto dal Comunismo, ma nel momento in cui scoppiano le Rivoluzioni in tutto il mondo orientale e cresce la pericolosità dei partiti comunisti, decide appunto di proteggersi attraverso Il Giornale. Montanelli teneva con sé sempre una statua di Stalin perché lo stesso capo del Comunismo sovietico ha fatto fuori tanti comunisti.
La pericolosità della Destra
In seguito, per la pericolosità della destra, e in particolar modo di Silvio Berlusconi, e per il fatto che l’editore de Il Giornale non fosse più imparziale, ma facesse parte di uno schieramento politico, ha indotto Montanelli a lasciare quel quotidiano e a fondarne uno nuovo, La Voce, non volendo più essere obbligato a scrivere articoli dettati dall’editore. Questo fatto rappresenta una mossa di protezione dalla Destra. Infatti Indro era un uomo di Destra, ma di una Destra liberale e non rivoluzionaria.
La libertà di parola alla base della scrittura
Secondo Beppe Severgnini, è essenziale lavorare per un giornale dove l’editore permette ogni singola opinione e tollera il dissenso tra le idee, perché la libertà di espressione deve essere alla base della scrittura. Per lo scrittore la vanità non è sempre un male; anzi, “la vanità buona è il carburante del lavoro con il passare degli anni”. L’aspirante scrittore per scrivere deve avere sempre qualcosa da dire, e lo deve dire senza problemi e in poche parole, senza la necessità di dover ripetere tutto. Bisogna esprimersi sulla carta nel modo migliore possibile, perché la precisione è fondamentale; le parole devono essere poche ma pregnanti di significato e giuste. Scrivere in modo chiaro, avvincente e interessante è fondamentale per poter convincere i lettori. E soprattutto è un dovere scrivere solo in italiano, senza dialetti e termini inglesi e francesi.
“La capacità di scrittura, di intuizione, di convinzione sono fondamentali per il giornalista. Pur avendo ognuno idee proprie, è doveroso rispettare anche quelle altrui. Se aggiri un giornale senza calpestarlo, lo rispetti”.