L’8 marzo moltissime donne riceveranno auguri, “omaggi” e dovranno, ancora una volta, confrontarsi con la domanda “come festeggi?”
Partirei proprio da qui per ribadire fin da subito che no, l’8 marzo non è una festa.
Questa idea distorta della Giornata internazionale della donna, fatta di sconti al ristorante, caramelle al limone sui treni ad alta velocità ed omaggi floreali per “le nostre belle donne” non fa altro che alimentare la permeabilità della nostra società ad un sistema di valori tossico ed estremamente pericoloso per tutte e tutti.
In un paese in cui il numero dei femminicidi rimane altissimo, e che vede le mura domestiche teatro della maggior parte delle violenze di genere, questa giornata, con il suo potente valore simbolico, dovrebbe servire a farci interrogare ancora sul perché ruoli di genere fortemente stereotipati continuino ad insinuarsi in tutti i livelli della società ed in tutti gli ambienti: da quello lavorativo a quello domestico, passando per la scuola, lo sport e via dicendo.
Tali stereotipi ci sembrano talvolta innocui ed è facile cadere nella trappola del “le donne sono così”, proprio perché, a volte, interrogarci sui noi stessi può condurre ad un terreno scomodo e scivoloso e ci porta a cedere alle facili lusinghe di chi dice di sapere come siamo, cosa siamo, di cosa abbiamo bisogno.
Ma Cosa ci accomuna realmente? Moltissime pensatrici nel corso della storia si sono interrogate sull’identità di genere.
Penso, pertanto, che valga la pena iniziare il nostro percorso di riflessione in occasione di questa ricorrenza con tre proposte di lettura.
Il Secondo sesso di Simone De Beauvoir
Perché partire dal Secondo Sesso di Simone De Beauvoir?
Perché proprio con quest’opera del 1949 De Beauvoir avviò il percorso di decostruzione del determinismo biologico.
Con la sua celebre affermazione “Donna non si nasce. Lo si diventa.”
Simone De Beauvoir ha voluto sottolineare come la donna sia un risultato della cultura, una costruzione sociale che pretende, però, di essere associata a motivazioni biologiche.
Questa idea di donna “naturalmente” predisposta a determinati ruoli prestabiliti e con specifiche capacità fisiche ed intellettuali, viene totalmente smantellata nel saggio.
L’imponente opera di De Beauvoir ci dimostra come proprio tale idea sia stata il più grande alibi per relegare le donne a ruoli prestabiliti che tornassero utili agli uomini ed abbia contribuito a legittimare e a far radicare il sistema patriarcale.
Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria di Silvia Federici
Dopo il processo di decostruzione approdiamo ad un’opera più recente che si articola, invece, in una ricostruzione storica.
Il recente (2015) saggio Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria di Silvia Federici, attivista, scrittrice e docente universitaria, infatti, ci impone di ripensare totalmente ad un intero periodo storico: quello che va dalle lotte contadine e i movimenti eretici del medioevo alla caccia alle streghe del XVI e XVII secolo in Europa e nel ‘Nuovo Mondo’.
Ripensando quello che fu il momento fondante del sistema capitalistico in un’ottica femminista Federici afferma che
«Come le recinzioni espropriarono i contadini dalle terre comunali, così la caccia alle streghe espropriò le donne dal proprio corpo, liberato, a funzionare come una macchina per la produzione della forza-lavoro».
I destini dei contadini, dei nuovi sudditi del Nuovo Mondo e le streghe in Europa si intrecciano in un drammatico processo di inferiorizzazione e discriminazione che sarebbe alla base dell’espansione coloniale e dell’accumulazione capitalistica.
La caccia alle streghe si rivela, pertanto, come lotta di classe.
Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda Ngozi Adichie
L’ultimo punto di riflessione parte proprio da quest’idea dell’intersezionalità delle lotte.
Ogni individuo, infatti, può subire diversi tipi di oppressione ed è proprio qui che subentra il femminismo intersezionale che si propone di non appiattire l’esperienza femminista usando un’unica chiave interpretativa ma tenendo in considerazione tutte le diversità.
Essere una femminista bianca è necessariamente diverso dall’essere una femminista nera: il manifesto di Chimamanda Ngozi Adichie, attualmente una delle più importanti penne della letteratura nigeriana, afferma proprio questo.
Superare il femminismo dell’uguaglianza per approdare finalmente a quello della differenza che valorizzi le molteplici identità degli individui abbracciando la lotta a qualsiasi forma di oppressione.
Così Adichie, con una nota di umorismo che pervade tutta la sua opera, scopre la sua identità:
“Una femminista felice, Africana, che non odia gli uomini, a cui piace indossare rossetto e tacchi alti per sé stessa e non per gli uomini.
Il tema dell’Identità, che sarà al centro della prossima edizione di Passaggi Festival, potrebbe essere, pertanto, lo spunto di riflessione per questa giornata.
Indagare voi stesse, scoprirvi e riscoprirvi: questo il mio più grande augurio per le lettrici.