Il 28 giugno, in piazza XX Settembre, il sondaggista Nando Pagnoncelli ha presentato il suo libro “La Penisola che non c’è” (Mondadori). Sul palco, per conversare con lui, Lapo Pistelli, Direttore Relazioni Internazionali Eni, e Giorgio Santelli, giornalista di RaiNews24.
L’era della “sondocrazia”
Pagnoncelli viene presentato subito come un sondaggista che mette in guardia dai pericoli della sondocrazia (termine che fu coniato da Rodotà). Il sondaggio, infatti, ha dei limiti: talvolta può diventare uno strumento per dimostrare le proprie idee e può essere utilizzato per legittimare azioni politiche. Proprio in quest’ultima fase della storia del nostro Paese, per esempio, l’agenda della politica è fortemente influenzata dai sondaggi.
Il messaggio che Pagnoncelli vuole trasmettere è evidente già dal titolo. Spesso, infatti, nel dibattito politico si ragiona sulla realtà fattuale ma c’è anche una percezione della realtà che va considerata. Come si scontra questo con la realtà dei sondaggi?
Sul palco viene chiesto a Pagnoncelli come si possa complicare il lavoro di un sondaggista quando la forbice tra realtà fattuale e percezione si allarga. In realtà Pagnoncelli afferma prontamente che esso non si complica affatto perché il sondaggio si basa sulla realtà. Sono le modalità con le quali il sondaggio viene interpretato ed utilizzato che possono variare.
L’intervento di Lapo Pistelli
Anche Lapo Pistelli ci tiene a precisare come l’opinione pubblica – a suo avviso- sia vittima di un’evidente dispercezione. L’Italia è un Paese del G7, al secondo posto in Europa per la manifattura – dice Pistelli– “occupa uno spazio immenso nel cuore del mondo e questo è un vantaggio gigantesco, poi, però, quando torniamo a casa e ci guardiamo allo specchio sembriamo gli ultimi disgraziati”. Questa percezione negativa che abbiamo di noi stessi all’estero non è neppure compresa e secondo Pistelli è dovuta unicamente ad un problema di deficit della conoscenza.
L’informazione: dal quotidiano ad internet
Com’è possibile informare un cittadino qualunque, posto di fronte ad una serie di impulsi che difficilmente riescono a fargli capire quale sia la notizia reale, nel momento in cui si hanno molteplici versioni differenti di tale notizia? Questa la domanda ricorrente sul palco. Per cambiare ciò – sostiene Pagnoncelli– servono degli stravolgimenti culturali profondi e, pertanto, tempi molto lunghi. Il clima culturale del nostro Paese infatti non lascia ben sperare: stanno crollando le vendite dei quotidiani, che costituiscono lo strumento che maggiormente costringe ad un approfondimento. Cresce, invece, internet che, al di là della difficoltà nel distinguere le notizie fasulle da quelle veritiere è il luogo dell’omofilia: ovvero un luogo di scambio nel quale le persone cercano altre persone che la pensino nel loro stesso modo. Un altro aspetto deleterio dell’informarsi su internet sono le logiche algoritmiche che ci propongono notizie e contenuti che fanno riferimento a ciò che abbiamo letto o pubblicato in passato.
C’era una volta l’Europa
Nando Pagnoncelli parlando d’Europa sostiene che ci sia bisogno di un nuovo “mito fondativo” dell’Unione. Una sfida importante nel creare questo mito è la risoluzione delle disuguaglianze. Appianare le differenze economiche e sociali all’interno del nostro continente è l’unico modo per creare una spina dorsale identitaria. Al momento questa colonna manca e per questo motivo moltissime persone sentono il bisogno di difendersi dallo straniero. Nel costruire il nuovo mito europeo non bisogna neanche lasciare in secondo piano il tema dello sviluppo sostenibile: solo così possiamo immaginare un Europa che funzioni e non lasci indietro i più deboli. Anche Lapo Pistelli parla sul palco dell’Europa definendola un “parafulmini di tutto ciò che è negativo”: il fatto che all’Europa vengano addossate le colpe di ciò che non funziona non ci permetterebbe di vedere – secondo Pistelli– tutto ciò che di buono arriva dall’Europa come, per esempio, i fondi europei che spesso vengono fatti passare, nel clima di costante propaganda nel quale viviamo, come successi delle amministrazioni locali. “Eppure nonostante ciò” – conclude Pistelli – “il suicidio politico che è stata la Brexit in Gran Bretagna ha fatto comprendere a molti paesi che protestare per un’Europa più giusta va bene ma è meglio farlo dall’interno, tenendo a mente che il continente europeo rimane quello con il più basso tasso di disuguaglianza tra le tre grandi potenze capitaliste (Asia, Usa ed Europa)”.