Sabato 19 giugno, in una Piazza XX Settembre gremita, il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani ed il cartografo Francesco Ferrarese hanno presentato il libro Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La straordinaria geografia del nostro futuro (Aboca Edizioni), scritto anche con il geografo Mauro Varotto. Sul palco, a conversare con gli autori, c’era il giornalista di Rai radio 2 Massimo Cirri.
Il cambiamento climatico, qui ed ora
Il libro è ambientato nell’Italia del 2786 attraversata da un giovane, Milordo, che ripercorre il celebre Grand Tour, il viaggio compiuto esattamente 1000 anni prima da Gohete e da altri giovani europei per entrare in contatto con i tesori e le culture dello stivale. L’Italia che si presenta a Milordo è, però, un paese totalmente diverso da quello in cui ci muoviamo nel 2021 e questo è già chiaro dalla copertina del libro: una costa Adriatica caretterizzata da fiordi, il lido di Lodi, Roma e Firenze tenute in bilico su palafitte ne sono solo alcuni esempi. Francesco Ferrarese, che si è occupato di disegnare le cartine, ci spiega subito che quell’immagine dell’Italia raffigurata nella copertina, che a primo impatto potrebbe trasmettere spaesamento e confusione, è una proiezione di come potrebbe essere il nostro paese nell’ipotesi sciagurata che entrambe le calotte si sciolgano. Si tratta, pertanto, di una mappa irrealistica ma, come ci tiene a precisare Telmo Pievani, non così lontana se si pensa che “il Mar Mediterraneo sta per essere riclassificato, in base alle specie trovate al suo interno, in un mare tropicale”. Nonostante il libro sia ambientato in un futuro molto lontano, infatti, Pievani e Ferrarese ribadiscono durante tutto l’incontro come il cambiamento climatico non sia un qualcosa di lontano, che riguarda il futuro ma un qualcosa di presente che incombe su tutti noi, su alcuni più che su altri.
Cambiamento climatico e migrazioni
Nel libro ci viene presentato uno dei quadri catastrofici che gli esperti ci segnalano. Nei prossimi anni, infatti, il cambiamento climatico verrà percepito maggiormente in Italia. Il nostro paese è uno dei più vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici: è un luogo con una biodiversità incredibile in quanto punto di passaggio, questa sua posizione, però, lo rende anche una zona estremamente critica. In futuro anche l’Italia sarà interessata da migrazioni interne per cause climatiche: “Belluno potrebbe diventare, per le migrazioni, la nuova Manhattan”.
Quello che succede in questa Italia immaginata, però, sta succedendo già adesso. Interi paesi, soprattutto nella fascia tropicale, stanno soccombendo e le migrazioni climatiche sono un fenomeno del nostro presente. Le Nazioni Unite, che di solito fanno stime prudenziali, hanno calcolato che, entro il 2050, 200 milioni di persone dovranno lasciare i propri luoghi d’origine a causa del cambiamento climatico: l’80% di questi migranti rimarrà nella propria nazione andando ad affollare le periferie delle grandi città.
Cos’è l’Antropocene?
Il libro parte da una provocazione: ufficialmente, infatti, l’Antropocene non è stato ancora riconosciuto come era geologica ma l’anno prossimo verrà certificato dalla comunità scientifica diventando, così, l’era in cui stiamo effettivamente vivendo. Siamo entrati in un’era geologica nuova proprio perché l’Homo Sapiens è diventato una forza geologica e chi verrà dopo di noi non potrà che vedere i segni della nostra attività nella stratificazione archeologica. Ma quando è cominciato l’antropocene? Per stabilire l’inizio di un’era ci vuole un segno specifico, quello che gli studiosi chiamano “chiodo d’oro”. Dal dibattito sono emerse diverse opzioni: una scuola di pensiero voleva farlo iniziare con l’avvento dell’agricoltura, un’altra ancora con quello della macchina a vapore, alla fine si è optato per farlo cominciare dal 1945. Si è scelta questa precisa data poichè, anche tra 50 milioni di anni, gli studiosi vedranno uno strato precisissimo: gli elementi radioattivi di scarto delle bombe atomiche e degli esperimenti nucleari.
Gli archeologi del futuro non troveranno solo scarti radioattivi ma si dovranno confrontare anche con una presenza pervasiva di microplastiche. Il cartografo Francesco Ferrarese ha spiegato, infatti, come uno dei markers più forti di questa nostra epoca sia proprio la plastica che produciamo, non solo gli oggetti in plastica, ma anche tutte quelle fibre di plastiche, quasi impercettibili, che negli anni sono state completamente sottovalutate: scarti di lavatrice, pneumatici che si deteriorano, e, in generale, qualsiasi oggetto in plastica che si degradi, si riversano nei corsi d’acqua e poi in mare, fino ad arrivare nella Fossa delle Marianne.
Una crisi di ingiustizia
In questo momento, affermano gli autori, è come se stessimo tagliando il ramo su cui siamo seduti con una certa incoscienza e noncuranza. Eppure gli effetti dei cambiamenti climatici sono presenti ed anche drammatici soprattutto in alcune parti del mondo. La crisi ambientale, infatti, crea ingiustizia sociale poiché i paesi che già stanno pagando e che pagheranno di più per il nostro tenore di vita insostenibile sono proprio quei paesi che hanno il minore impatto nel cambiamento climatico. A questo discorso, inoltre, può essere applicato anche un dato generazionale. Proprio le future generazioni, infatti, quelle che ancora non hanno avuto modo di devastare il nostro pianeta saranno anche quelle che pagheranno di più: “Stiamo scaricando un debito terribile su chi non l’ha prodotto e questa è un’enorme ingiustizia”.
Dall’Amazzonia alla pandemia
Anche le pandemie hanno a che fare con l’ingiustizia climatica. Sul palco Pievani ci spiega come l’immagine della deforestazione dell’Amazzonia sia inevitabilmente collegata all’immagine di una persona malata di Covid in una terapia intensiva italiana. Deforestazione, infatti, significa anche un aumento vertiginoso del numero di contatti con animali selvatici, proprio questo contatto avrebbe determinato il passaggio di specie del virus e la diffusione della malattia. Per questo motivo è importante iniziare a pensare che le pandemie non siano castighi divini o eventi occorsi casualmente ma che abbiano radici profonde. Scoprire queste cause profonde servirà anche, secondo gli autori, a non usare più la tecnologia in modo utilitaristico e a non deresponsabilizzarci attraverso di essa per poter continuare a consumare come se non ci fosse un domani. La tecnologia, infatti, non può risolvere tutti i problemi che noi creiamo e non devono esserle riconosciuti poteri salvifici.
Il pensiero delle cattedrali
Ma cosa possiamo fare per contrastare tutto questo? Innanzitutto è fondamentale inserire la tutela dell’ambiente nella costituzione poiché quello che facciamo, o che non facciamo, oggi è in grado di plasmare il futuro. Integrare la costituzione non ci costerebbe niente ma ci porterebbe un grandissimo vantaggio di lungimiranza: non si tratterebbe, infatti, solo di un esercizio formale ma di un esempio di continuità nell’azione politica. Ciò che bisogna imparare a fare secondo gli autori, infatti, è agire con lungimiranza, mettere in pratica “il pensiero delle cattedrali”: bisogna iniziare ad agire adesso sapendo che i nostri nipoti godranno degli effetti di tutte le azioni positive che compiamo oggi. In sostanza bisogna comportarsi come chi costruiva cattedrali nel Medioevo pur sapendo che non avrebbe mai fatto in tempo a vedere la sua opera compiuta. Per fare ciò, sostiene Pievani “C’è bisogno di statisti illuminati”. Anche noi, ad ogni modo, possiamo avere un impatto importante: l’alimentazione, per esempio, è uno un aspetto fondamentale nei cambiamenti climatici. Basterebbe , per esempio, semplicemente ridurre la carne del del 30% o iniziare a chiedersi non soltanto più il costo effettivo dei prodotti che compriamo ma anche il loro costo in termini ambientali.