Venerdì 28 Agosto, all’interno della Chiesa di San Francesco, la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni ha presentato il suo ultimo romanzo: Mara. Una donna del Novecento, edito da Ponte alle Grazie. L’autrice ha conversato con Flavia Fratello (La7) e Tiziana Ragni (Repubblica Live).
Una narrazione diversa
La genesi di questo libro per tanti aspetti geniale, un romanzo di formazione alternato a pagine di puro saggio storico, deriva da una riflessione della stessa autrice: “la storia delle donne spesso si incrocia ma non coincide mai con quella degli uomini, degli stati e dei popoli”. Questa idea nasce dall’esperienza di Ritanna Armeni in tanti anni passati a lottare per le pari opportunità, varie letture, e soprattutto, dall’ascolto dei racconti di donne anziane che hanno vissuto, spesso anche da protagoniste, l’esperienza fascista. La storiografia ci ha spesso mostrato lo stereotipo della donna in epoca fascista: donne sottomesse, “madri fattrici” che dovevano stare in casa a prendersi cura della casa e dei tantissimi figli. Le storie raccontate in prima persona da queste donne, invece, nascondevano una certa nostalgia, l’idea di aver vissuto un momento particolare.
Il sogno di Mara
La protagonista di questa storia è, come suggerisce il titolo, Mara, una ragazzina che nel 1933, all’apice del periodo fascista, ha tredici anni e che seguiamo crescere fino all’età di venticinque anni. Come tante donne e ragazzine del tempo, Mara è innamorata della figura del Duce e come la sua migliore amica, Nadia, è una fascista convinta. Nonostante questo, però, Mara ha dei sogni, coltiva delle ambizioni, vuole studiare e fare l’università, desideri che non si addicono all’immagine della donna fascista. Questa però, non è una storia di ribellione ma è una storia comune a quella di molte donne dell’epoca, che non solo subiscono la fascinazione del fascismo, ma nel fascismo, in parte, trovano una possibilità di crescita ed emancipazione.
La contraddizione del fascismo
Il regime fascista punisce le donne, le umilia. Le donne venivano viste come cittadine di serie B, dotate di poca intelligenza e quindi non dovevano studiare, insegnare e nemmeno fare sport poiché dovevano preservare il proprio corpo per non compromettere la fertilità. Mussolini avvia un programma di crescita demografica spingendo le donne a fare sempre più figli. Il regime definisce addirittura le misure delle donne per questo scopo. La donna ideale fascista era la madre, la donna fedele, la vedova inconsolabile, la vestale del fascio ecc.. Da un’altra parte però, il fascismo esaltava la figura della donna indipendente, che aveva il controllo del proprio corpo e del proprio fisico. Le donne venivano addirittura sollecitate a fare ginnastica, indossando calzoncini e maglie aderenti, e a partecipare alle manifestazioni. Il regime, inoltre, si preoccupava del consenso delle donne, a differenza dei padri del rinascimento, per cui la donna non esisteva affatto.
La rivoluzione silenziosa
Mara e tutte queste donne ricevono, perciò, tanti messaggi contraddittori e la loro risposta a queste sollecitazioni è quella di avviare una rivoluzione silenziosa, che non nasce dalla voglia di disobbedire e di ribellarsi al regime, ma proprio da queste due immagini contraddittorie di donna che il fascismo propugnava. Mara non si sente una ribelle, si sente soltanto parte di un flusso. Le donne non potevano fare sport, eppure proprio durante il fascismo, Trebisonda Valli (detta Ondina) è la prima donna a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Mussolini è costretto a riceverla, poiché per le donne, Ondina era il simbolo, l’incarnazione della donna fascista. La donna non era adatta a studiare, eppure le iscritte alle università di tutta Italia triplicarono. Tutti gli sforzi di Mussolini per la crescita demografica del popolo italiano fallirono in modo clamoroso. Il Duce addirittura sarà costretto ad ammettere questo fallimento dovuto a «problemi morali», le donne indipendenti avevano scelto di fare meno figli.
La guerra e la fine del regime
L’esperienza disastrosa della guerra e la fine del regime vengono vissute in maniera molto attiva ed intensa dalle donne. Queste vedono prima di altri il fallimento del regime, anzi, secondo Ritanna Armeni il fascismo finisce proprio quando le donne capiscono che è finita. Si rompe il sentimento di fiducia e di amore che le donne provavano per il Duce. Quest’ultimo non voleva che le donne lavorassero, eppure ora le donne erano costrette sia a lavorare che a badare alla casa. Le donne sono quelle che hanno retto l’Italia in quegli anni, lavorando e badando ai figli, combattendo la fame e la miseria. Esse attendono invano il ritorno dei propri figli, li vedono perseguitati dai propri compatrioti e dai tedeschi, vivono in prima persona la crisi dell’economia domestica e la delusione della speranza che il fascismo avrebbe portato un futuro straordinario.
“ Il racconto di Mara è il racconto di una ragazza normale, non un’eroina, è quello del novantacinque per cento delle donne italiane: tutte abbiamo avuto una mamma, una nonna che era contenta di uscire il sabato e sfuggire dal controllo del nonno. Mara rappresenta tutte.”
Riflettere sul presente
Lo scopo di Ritanna Armeni nello scrivere il libro non è stato quello di una rivalutazione storica o di una conversione ideologica di una donna di sinistra. La chiave di lettura del romanzo sta proprio nella particolarità della storia delle donne, che in questo caso si intreccia con quella del fascismo in Italia ma non coincide con essa. Il 25 Aprile le donne, fino ad allora oppresse, sono diventate il simbolo dell’Italia che nasceva. Tesi poco credibile secondo Ritanna Armeni. La democrazia ha dato spazio al chiasso delle donne ma non è stato un cammino così fulgido come spesso la storiografia lo descrive. Tante leggi ineguali e spesso disumane sono rimaste in vita ben oltre la date della liberazione d’Italia, penalizzando e spesso umiliando le donne. Questo romanzo perciò, mira anche a far riflettere riguardo il presente e il ruolo della donna nella società odierna, soprattutto in questo momento particolare di pandemia, dove chi si è dovuto maggiormente sacrificare e restare in casa sono state proprio le donne.