Il 25 giugno nel cortile di Casarredo, nell’ambito della “Rassegna Libri in Cortile” di Passaggi Festival è stato presentato il libro “Siamo ovunque. Memoria omosessuale marchigiana” di Jacopo Cesari. A conversare con l’autore è stato Francesco Rocchetti dell’Istituto Gramsci Marche che ha descritto il libro di Cesari come “un atto pubblico in quanto contenitore di una serie di azioni compiute da singoli ed inquadrate in una storia collettiva”.
L’ intento del libro, ci ha spiegato l’autore, è quello di ricostruire la storia italiana da un punto di vista diverso: quello del movimento omosessuale. Molto importante è anche, per Cesari, non essere distaccati nella narrazione delle vicende umane. Questo non significherebbe essere meno scientifici ma tenere a mente come un approccio puramente scientifico rischi di reificare i soggetti della nostra ricerca lasciando così che si perda di vista la vera protagonista degli studi storico-sociali: l’umanità.
Da progetto di tesi a saggio storico
Il libro, ci ha detto Jacopo Cesari, era nato come un progetto di tesi: l’intento era ricostruire la memoria storica di Arcigay Pesaro. L’autore ha iniziato ad interrogarsi sul come e sul perché l’associazione non avesse mai tenuto un archivio e, scavando a fondo, si è reso conto che quella che sembrava una storia iniziata nel 1998 aveva radici antiche e profondissime.
Il risultato? 320 pagine che riassumono nove secoli di storia omosessuale marchigiana, un lavoro incredibile di raccolta di fonti non solo scritte (principalmente verbali di polizia e stampa scandalistica) ma anche orali.
Sulle fonti orali dovremmo soffermarci un attimo: per un argomento come quello dell’omosessualità e dei movimenti LGBT, che ha costituito fino a poco tempo fa un tabù anche in ambienti considerati più progressisti, le testimonianze orali sono preziose. Da qui l’urgenza di raccogliere la memoria orale della seconda metà del ‘900 prima che sia troppo tardi. L’opera di Cesari è un tentativo di sondare tutte le generazioni a ritroso per liberarsi finalmente dell’idea che chi c’era prima del Movimento, delle rivendicazioni collettive, chi c’era prima di Arcigay non abbia poi fatto molto per la lotta.
Un quadro generale ed efficace della storia del movimento LGBT italiano
Per contestualizzare la tematica del libro, che si riferisce principalmente al territorio marchigiano, Jacopo Cesari ha creato delle cornici in cui inserire la storia locale partendo da una visione d’insieme. In realtà è importante notare anche il processo inverso: dal particolare al generale. In un momento in cui la ricerca storica sembra proiettata verso un approccio globalista, il lavoro di Cesari sottolinea come una costruzione efficace della storia di un movimento anche nazionale e mondiale debba partire da fonti, testimonianze ed esperienze locali. Conservare il patrimonio, la memoria di un luogo significa alimentare la costruzione di una storia generale e globale del movimento che deve avere come intento quello di accogliere le diversificate esperienze locali, non di livellarle o appiattirle.
Ecco allora che partire dalle vicende di Porto Sant’Elpidio nel 1983 e del suo sindaco comunista Giovanni Conti – che fece da cerniera tra il Gay Camp e la comunità locale – ci fornisce la base di partenza per un discorso di dimensione nazionale sul rapporto controverso e tormentato tra PCI, PSI, sinistra extra-parlamentare e movimento LGBT. Volgendo poi lo sguardo ai movimenti LGBT in altri paesi è possibile notare come questi, figli degli anni 60/70, avessero un linguaggio ed un’impronta marxista anche perché, a differenza dell’Italia, riuscirono a trovare spesso a sinistra un maggiore spazio politico.
Perché “Siamo ovunque”
“Siamo ovunque” è un omaggio allo slogan dei moti di Stonewall del 1969 a New York, considerati il momento di nascita del movimento LGBT. Ma “Siamo ovunque” è anche altro: l’Italia infatti è un Paese che soffre una “fragilità intrinseca”. Come ci ha spiegato Cesari, infatti, a partire dall’Italia liberale dei primi del ‘900 fino ad arrivare alla Legge Rocco si è preferito non parlare di omosessualità, l’argomento era così tanto scomodo da non essere neppure affrontato attraverso una legge repressiva. Si decise di nasconderlo, far finta che non esistesse niente di simile, relegarlo nell’ombra dei verbali di Polizia. Invece fu proprio nei paesi dove la repressione era più esplicita che nacquero i movimenti di ribellione più forti e precoci. In Italia, all’ombra della Chiesa Cattolica, il silenzio ha costituito l’arma repressiva più forte.
Qui si arriva all’ultima questione affrontata durante l’incontro: dire o non dire? Perché specificare per esempio che un personaggio di spicco sia anche omosessuale quando non ci sentiamo tenuti a specificare se sia eterosessuale? Nel rispondere a questa domanda bisogna confrontarsi con due temi fondamentali: l’orgoglio (un termine importante per il movimento LGBT) e la sofferenza. Quando per secoli si reprime l’identità sessuale di un gruppo di persone, per secoli viene trasmesso il messaggio che quello è sbagliato, è devianza e perversione, che bisogna nascondersi, allora raccontare, esprimersi, anche in maniera dirompente se lo si vuole, può essere la migliore forma di resistenza ed affermazione di sè. Non possiamo sostenere che dire “sono omosessuale” sia come dire “sono eterosessuale”, come non possiamo sostenere che dire “sono donna” sia come dire “sono uomo” o “sono nero” siamo come dire “sono bianco”. Così facendo dimentichiamo un passato fatto di discriminazioni, sofferenze, battaglie, un passato che, invece, dobbiamo tenere bene a mente nel rivendicare ciò che ci spetta, nella lotta per la libertà. “Siamo ovunque. Memoria omosessuale marchigiana” è un libro perfetto per questo.