La quinta serata di Passaggi Festival ha l’enorme piacere di avere sul palco del Pincio, per la Rassegna “Fuori Passaggi Music&Social”, il rapper Willie Peyote. In un esuberante dialogo con Giuseppe Civati, ha presentato il suo libro intitolato “Dov’è Willie?”, edito da People. Una serata ricca di contenuti, divertimento e riflessioni.
Dov’è Willie?
Più che di un libro si tratta di chiacchiere tra amici, discorsi veri e profondi in cui Willie Peyote si racconta come non aveva mai fatto prima. Queste parole, figlie del periodo in cui sono state concepite (quello del Covid), si fanno carico di molta sincerità. Se non fosse stato scritto in una fase di grande difficoltà per il mondo intero, ne sarebbe uscito un libro completamente diverso. È un po’ ‘appesantito’ dal periodo storico in cui è stato collocato, trattando temi di cui in Italia non si suole parlare, come la depressione. Peyote sostiene che si dovrebbe discutere di più del trauma che abbiamo subito: “La depressione esiste e l’ho vissuta sulla mia pelle. Non dev’essere un taboo. Secondo me è formativo prendersi un momento per accettare questo trauma in questa performance in cui dobbiamo tutti sembrare sempre vincenti”. In Italia ci sono argomenti ‘intoccabili’ che invece vanno oltre che affrontati approfonditi, per il bene della salute mentale di tutti. Le malattie mentali sono mostri invisibili che richiedono tanto tempo e fatica per essere sconfitte, ed è proprio il motivo per cui dare spazio a problemi di questo tipo non è mai stato così importante quanto in questo periodo. Tra discorsi di grande rilevanza, in un dialogo ricco di risate ed applausi, si arriva anche a parlare del Ddl Zan e il caro Civati esordisce con: “Il Ddl Zan va approvato e basta, perché avete veramente rotto. Non dev’essere Peyote a dirlo”.
‘La depressione è un periodo dell’anno’
Ciò che ha aiutato l’artista ad uscire dalla depressione è stato il rendersi conto di essere un ragazzo fortunato, ricordandosi anche che “c’è qualcuno che ha più diritto di stare male di me”. Willie faceva un banale lavoro in uno squallido call center e all’età di 24 anni ha firmato un contratto a tempo indeterminato. In Italia un simile contratto ad una così giovane età è quasi un sogno, che però presenta due facce della medaglia: da una parte hai un lavoro assicurato per il resto dei tuoi giorni, dall’altra il rischio di collassare su te stesso smettendo di metterti in gioco. “Quando ho firmato il contratto a tempo indeterminato non sapevo se spararmi in testa o stappare una bottiglia” dice. Così un giorno ha deciso di mollare tutto per intraprendere l’impervia via della musica (ottenendo risultati grandiosi!). Durante la depressione, periodo in cui pensava spesso al suicidio, Peyote ha fatto un percorso di analisi. In quel periodo si sentiva per telefono anche con il padre, che era in Brasile. Le telefonate che si facevano venivano registrate a sua insaputa e un giorno il padre gli ha mandato un file contenente tutti i loro dialoghi. Nell canzone ‘Che bella giornata’, la sua preferita, c’è un estratto di una chiamata in cui raccontava di essersi appena licenziato. “Quella canzone mi ricorda che ho avuto coraggio” e risentire tutte quelle parole, i periodi vissuti e le difficoltà gli hanno fatto credere abbastanza in sé stesso da rompere gli schemi addentrandosi verso un percorso del tutto nuovo e ricco di ostacoli.
Divisione per categorie: una sofferenza ingiusta
Peyote nel duro periodo di pandemia, che ha costretto tutti a casa, si è molto preoccupato per quelle persone facenti parte del suo team rimaste senza un lavoro. Molte di loro dovevano mantenere oltre che sé stessi anche un’intera famiglia. Questa situazione non lo ha certo lasciato indifferente, si è prodigato per tentare di trovare una qualche soluzione per il bene di chi lo circonda nel quotidiano all’interno del mondo lavorativo. Non si tratta di persone che lavorano per lui, ma con lui. Purtroppo, e questa situazione l’ha evidenziato più che mai, siamo abituati a ragionare compartimentalizzando ogni categoria. C’è un settore e poi ce n’è un altro, così si tende a pensarla senza preoccuparci di tutte le fasce intermedie comprese all’interno di quella che noi identifichiamo in un’unica categoria. “Ragioniamo a compartimenti stagni e non c’è comunicazione tra i vari compartimenti. Questa cosa mi spaventa un po’. Dovremmo tutti tornare a dividerci meno in categorie e comunicare di più”. La divisione di cui stiamo parlando non si limita però solo a delle categorie lavorative, ma a tutti quei gruppi componenti la società. Nel libro c’è un momento in cui l’artista ci parla di religione e ci spiega che ha avuto un percorso personale peculiare. Sua madre e le sue sorelle sono Testimoni di Geova e, per quanto abbia sempre evitato di sbandierare ai quattro venti le decisioni personali altrui, questo è un argomento che lo ha coinvolto sin dall’infanzia. Willie è cresciuto sentendosi costantemente quello diverso. A Torino, quando era piccolo, la dimensione parrocchiale era molto importante e lui soffriva la situazione perché in qualche modo sentiva di dover sempre dimostrare qualcosa per esserne all’altezza. Non dovremmo più limitarci a separare le persone e le loro azioni in categorie.
Privilegio e patriarcato
Nella canzone ‘Mai dire mai’ tra le tante frasi provocatorie ce n’è una in particolare che, volta a far riflettere le persone, ha suscitato numerose critiche: ‘Non ho capito in che modo twerkare vuol dire lottare contro il patriarcato’. È un chiaro riferimento ad Elettra Lamborghini, la quale l’anno precedente ha twerkato sul palco di Sanremo scambiandosi poi un bacio con Miss Keta. Da lì Elettra è diventata simbolo della lotta LGBTQ, ma Willie chiede “siamo sicuri che ogni culo è politico?”. Nei calorosi applausi scoppiati da questa osservazione, Willie prosegue raccontando come gli sia stato dato del privilegiato. Peyote quindi, in quanto uomo, sarebbe privilegiato rispetto ad una donna di successo già ricca fin da quando era nella culla. Bisogna tener conto del fatto che il privilegio è un discorso che ha delle sfumature e che gli argomenti che mette in luce Willie Peyote cercano di muovere le acque facendo pensare, non sono certo un’affermazione del patriarcato.
Lanciare un messaggio, non la propria carriera
Siamo in un periodo storico in cui le lotte sociali vengono lasciate combattere dai miliardari, ma i miliardari sono quelli che a livello sociale hanno meno problemi in assoluto. Non combattiamo per ciò che ci tocca direttamente, molliamo questo peso su qualcun altro che non vive quel problema nel nostro stesso modo. Un omosessuale miliardario ha certamente molti meno problemi di un omosessuale povero, i soldi sono una discriminante importante. Quando una lotta diventa un brand qualcuno nel mondo ci sta perdendo. Peyote fa discorsi molto importanti e spesso sottovalutati, sottolineando anche di non voler essere portavoce di queste cause. Spesso le lotte sociali che vengono fatte hanno come unico riscontro quello di far guadagnare visibilità ad un determinato personaggio pubblico. “Non voglio essere io il simbolo, sennò serve a me e non alla lotta” dice “ si prende posizione quando rischi qualcosa, se non perdi qualcosa vuol dire che non la stai prendendo”. Pochi sono quelli che prendono posizione e Willie sostiene che ciò che più blocca persone di una certa rilevanza sociale dall’esporsi sia proprio la paura di farlo quando il rischio è perdere. Prendere posizione dev’essere un gioco nel quale si rischia qualcosa. “Io spesso vengo frainteso in ciò che dico e quando succede ne soffro tantissimo, ma ci provo sempre a lottare dal mio lato della barricata”. Proseguendo il dialogo con Civati si finisce anche a parlare del Vaticano, così l’incontro si conclude con la domanda più pungente e veritiera che potesse essere posta: “Perché io da cantante non posso fare politica e il Papa può farlo?”.